sabato 31 gennaio 2015

I giorni della merla e un dono dal passato. Il manuale del Pellegrino Artusi e la riabilitazione del senso del gusto. La ricetta della zuppa di zucca gialla direttamente dal manuale artusiano.

Altroquando, gennaio 2015
 Carissimi amici, ben ritrovati e siate tutti benvenuti!Questi ultimi giorni di gennaio sono particolarmente freddi: sarà davvero tutta colpa della merla? Le storie legate a questo periodo dell'anno sono tantissime, quasi tutte hanno come protagonista questo simpatico volatile che, in origine, si narra fosse bianco, divenuto nero in seguito, dopo essersi riposato nella canna di un camino caldo e fumante, per ripararsi dal freddo di gennaio. Ma questa non è l'unica versione della storia, ce ne sono molte, ci sono anche riferimenti ad una nobile signora di Caravaggio nominata de Merli che attraversò il Po per recarsi a Marito proprio durante questo periodo dell'anno in cui il il fiume era completamente ricoperto di ghiaccio.
Tutto questo per raccontarvi di una fredda giornata di fine gennaio qui ad Altroquando: rovistando tra gli scaffali in cerca di qualcosa di carino da leggere sul divano avvolta dalla mia coperta milletoppe, mi son lasciata prendere dai caratteri antichi e inconfondibili di una vecchia edizione che, non ho capito ancora come, ha finito per far capolino nella mia libreria. Trattasi di una edizione degli anni '70 de "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene - Manuale pratico per le famiglie compilato da Pellegrino Artusi", stampata da Giunti Bemporad Marzocco per la 95esima ristampa integrale e numerata. Non sapete che emozione sentire il profumo delle  vecchie pagine ingiallite che, molto probabilmente, sono state sfogliate da mia nonna prima di me, passando per la sua cucina e per altre mani ancora prima di questo giorno. 

La storia di questo libro è affascinante, lo stesso autore dice che rassomiglia alla storia della cenerentola. In prefazione difatti vi compare questa frase in apertura del racconto di tutti i rifiuti da Pellegrino Artusi ricevuti prima di trovare qualcuno che pubblicasse il suo prezioso manuale:

Vedi giudizio uman come spesso erra.

E difatti è stato proprio così. Questo testo storico ha ricevuto più rifiuti che lusinghe, da editori e amici dell'autore, eppure è un testo stampato e venduto ancora oggi, a distanza di più di un secolo. L'autore lo pubblicò per la prima volta nel 1910 a proprie spese, presso il tipografo Salvatore Landi, ma il pubblico premiò l'audacia del gastronomo italiano promuovendo il suo libro a capolavoro della cucina italiana e del servire a tavola. Pellegrino Artusi, riguardo le case editrici, ci scrive:
"[...] è bene a sapersi che gli editori generalmente non si curano più che tanto se un libro è buono o cattivo, utile o dannoso; per essi basta, onde poterlo smerciar facilmente, che porti in fronte un nome celebre o conosciutissimo, perché questo serva a dargli la spinta e sotto le ali del suo patrocinio possa far grandi voli".
Come dargli torto? Per fortuna però c'è anche qualche eccezione alla regola. Difatti, e per fortuna, il manuale di Artusi venne promosso su larga scala dalla Casa Editrice Bemporad (che poi divenne Giunti) e conosciuto così da un pubblico più ampio, diventando il capolavoro giunto fino ai giorni nostri.
Questo testo è eccezionale, scritto con eleganza e maestria, ma anche con un pizzico di ironia che non guasta. Non nascondo di essere stata completamente rapita da questa lettura fino all'ultima pagina, saltando da una ricetta all'altra, gustandomi una riga dopo l'altra: dall'indice degli ingredienti alle citazioni letterarie, dalle elaborate preparazioni ai proverbi della tradizione popolare. Questo testo, a mio avviso, è una vera opera d'arte. Voglio pertanto riportare una dedica del poeta Lorenzo Stecchetti indirizzata a Pellegrino Artusi e riportata nella presentazione di questa edizione:

"Il genere umano dura solo perché l'uomo ha l'istinto della conservazione e quello della riproduzione e sente vivissimo il bisogno di sodisfarvi. Alla sodisfazione di un bisogno va sempre unito un piacere e il piacere della conservazione si ha nel senso del gusto e quello della riproduzione nel senso del tatto. Se l'uomo non appetisse il cibo o non provasse stimoli sessuali, il genere umano finirebbe subito. Il gusto e il tatto sono quindi i sensi più necessari, anzi indispensabili alla vita dell'individuo e della specie. Gli altri aiutano soltanto e si può vivere ciechi e sordi, ma non senza l'attività funzionale degli organi del gusto. Come è dunque che nella scala dei sensi i due più necessari alla vita ed alla sua trasmissione sono reputati i più vili? Perchè quel che sodisfa gli altri sensi, pittura, musica, ecc., si dice arte, si ritiene cosa nobile, ed ignobile invece quel che sodisfa il gusto? Perché chi gode vedendo un bel quadro o sentendo una bella sinfonia è reputato superiore a chi gode mangiano un'eccellente vivanda? Ci sono dunque tali ineguaglianze anche tra i sensi che chi lavora ha una camicia e chi non lavora ne ha due? Deve essere pel tirannico regno che il cervello esercita ora su tutti gli organi del corpo. Al tempo di Menenio Agrippa dominava lo stomaco, ora non serve nemmeno più, o almeno serve male. Tra questi eccessivi lavoratori di cervello ce n'è uno che digerisca bene? Tutto è nervi, nevrosi, nevrastenia, e la statura, la circonferenza toracica, la forza di resistenza e di riproduzione calano ogni giorno in questa razza di saggi e di artisti pieni d'ingegno e di rachitide, di delicatezze e di glandule, che non si nutre, ma si eccita e si regge a forza di caffè, di alcool e di morfina. Perciò i sensi che si dirigono alla cerebrazione sono stimati più nobili di quelli che presiedono alla conservazione, e sarebbe ora di cassare questa ingiusta sentenza. O santa bicicletta che ci fa provare la gioia di un robusto appetito a dispetto dei decadenti e dei decaduti, sognanti la clorosi, la tabe e i gavoccioli dell'arte ideale! All'aria, all'aria libera e sana, a far rosso il sangue e forti i muscoli! Non vergogniamoci dunque di mangiare il meglio che si può e ridiamo il suo posto anche alla gastronomia. Infine anche il tiranno cervello ci guadagnerà, e questa società malata di nervi finirà per capire che, anche in arte, una discussione sul cucinare l'anguilla, val una dissertazione sul sorriso di Beatrice. Non si vive di solo pane, è vero; ci vuole anche il companatico; e l'arte di renderlo più economico, più sapido, più sano, lo dico e lo sostengo, è vera arte. Riabilitiamo il senso del gusto e non vergogniamoci di sodisfarlo onestamente, ma il meglio che si può, come ella ce ne dà i precetti".



Visto il freddo e il desiderio di dar subito ascolto alle esortazioni del poeta Stecchetti, mi vien voglia di fare una bella zucca, e non vedo alternativa migliore che prendere la ricetta dal manuale e prepararla così come lo fece il nostro Artusi più di cento anni fa.



Zuppa di zucca gialla 

(tratta dal manuale de "La Scienza e l'Arte del mangiar bene" di Pellegrino Artusi)


Zucca gialla, sbucciata e tagliata a fette sottili, un chilogrammo. Mettetela a cuocere con due ramaiuoli di brodo e poi passatela dallo staccio.
Fate al fuoco un intriso con grammi 60 di burro e due cucchiaiate di farina, e quando avrà preso il color biondo fermatelo col brodo; aggiungete la zucca passata e il resto del brodo che basti per sei persone. Poi versatelo bollente sopra a dadini di pane fritto e mandate la zuppa in tavola con parmigiano grattato a parte. Se farete questa zuppa a dovere e con brodo buono, potrà comparire su qualunque tavola ed avrà anche il merito di essere rinfrescante.





Cari amici, vi saluto, vi auguro buon appetito e un arrivederci al prossimo post!

Nessun commento:

Posta un commento